La tonnara di Scopello è una delle più importanti e antiche di tutta la Sicilia; fu edificata non prima del XIII secolo e notevolmente ampliata dalla famiglia Sanclemente nel corso dei secoli XV e del XVI. Passò quindi alla Compagnia di Gesù e infine alla famiglia Florio. Si trova nel territorio di Castellammare del Golfo.
Un geografo arabo, Idrisi, che verso la seconda metà del XII secolo descrisse la Sicilia, non fa particolare menzione di Scopello e questo fatto ci induce a ritenere che dovesse, a quel tempo, essere poco popolato o abitato soltanto stagionalmente per l’esercizio di una piccola tonnara. Il territorio dove sorgeva il malfaraggiu o marfaraggiu (vocabolo di indubbia origine araba[1]), ossia il fabbricato per la ciurma e per il deposito della tonnara[2], che aveva iniziato l’attività nel XIII secolo, apparteneva al demanio di Monte San Giuliano. Rimase proprietà demaniale fino al XV secolo: il 1º marzo 1442 fu concesso infatti – dal procuratore generale di Alfonso V d’Aragona Gisberto de Sfar – a Simone Mannina, per 40 onze con la clausola della restituzione presso il notaio palermitano Pino de Ferri[3]. Alla sua morte passò alla figlia Bartolomea che la apportò per matrimonio a Giovanni Sanclemente il quale, impiegandovi parte del suo patrimonio, volendola rendere più efficiente, ne ottenne concessione perpetua con la facoltà di ampliarla da parte di Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi, viceré di Sicilia, con privilegio del 28 marzo 1468; solo a partire da questa data si può parlare di una tonnara vera e propria.
Risalgono al 1461 alcune sentenze emanate dalla corte vescovile di Palermo in favore del vescovo di Mazara al quale venivano negate le rendite delle tonnare di Cofano, Scopello e san Nicola in Favignana dai rispettivi proprietari, i nobili Bartolomeo de Carissima, Giovanni di Sanclemente e Filippo Crapanzano, i quali, convocati a Palermo insieme con il procuratore del vescovo mazarese, dichiaravano che le tonnare delle quali erano proprietari erano esentate dal pagamento delle decime e che questa esenzione doveva essere rispettata. Nonostante tali dichiarazioni vennero condannati al pagamento delle decime arretrate e presenti nonché alle spese legali[4].Del diritto che aveva il vescovo di Mazara di ricevere le decime delle tonnare del trapanese ha scritto, nella sua Historia di Trapani, Giovan Francesco Pugnatore sul finire del XVI secolo[5]:
«Pagano ben oggi i Trapanesi al Vescovo di Mazara le decime delle loro tonnare: le quali sono certi spazj di mare co’ suoi termini limitati, dentro ai quali si può per solo privilegio di re far da padroni la pescagione de’ tonni. Ma ciò tuttavia non è per istituzione fatta dal Conte Roggero, né da altro principe o re di Sicilia seguente, se non che, avvenendo sovente essere i giorni delle feste gran quantità di questi pesci nelle reti rinchiusi, i quali dapoi non si potendo per riverenza della festa in tai giorni uccidere senza la spiritual pena che ne averiano avuto dal Vescovo mazarese, loro prelato ordinario, spesso parimenti in tai giorni accadeva che, venendo per mutazione di tempo sì gran flusso d’acque correnti che altrove impetuosamente portava, e le reti et i pesci, con rottura di quelle, e fuga di questi, ne seguiva alfine grandissimo danno de’ padroni che quelle tonnare facevano. Laonde eglino per rimedio di ciò offersero al Vescovo lor di Mazara predetto di dargli la decima de’ pesci che ogn’anno prendessero, purché gli desse la sua spirituale licenza di potere il dì delle feste far essercitare gli operaj intorno al bisogno delle loro tonnare. Al che il prelato d’all’ora consentì; e così pur fecero gli altri che di mano in mano gli furon seguenti.» |
(Giovan Francesco Pugnatore, Istoria di Trapani) |
A Giovanni Sanclemente succedette il figlio Simone Sanclemente, barone di Inici, che ebbe la conferma della stessa successione con privilegio dato a Toledo il 18 luglio 1502. Il barone Simone Sanclemente ebbe, tra gli altri figli, Giuseppe Sanclemente, il primogenito, che pervenne in possesso dei due terzi della tonnara, e Giovanni Sanclemente, il terzogenito, a cui fu assegnata la rimanente parte; a Giuseppe succedette il nipote Simone Sanclemente (figlio di Giovanni Sanclemente) il quale però non ebbe discendenza, sicché alla sua morte la quota da lui posseduta passò alla madre Allegranza Sanclemente; Giovanni ebbe anche una figlia, Francesca, che ereditò la parte di tonnara del padre ma non ebbe discendenza; Allegranza divenne quindi unica proprietaria della tonnara (e di altre proprietà della famiglia Sanclemente) e, con testamento del 12 gennaio 1597, ne assegnò due terzi al Collegio dei Gesuiti ed un terzo al Monastero della Beata Vergine Maria del Santissimo Rosario sotto il titolo di sant’Andrea) di Trapani[6].
Quando nel 1767 fu soppressa in Sicilia la Compagnia di Gesù da Ferdinando III di Borbone su sollecitazione del Segretario di Stato Bernardo Tanucci, la loro quota della tonnara ridivenne possedimento demaniale, e fu in seguito acquistata alla somma di 20.000 scudi da Baldassare Naselli principe d’Aragona. Nel 1805 tuttavia i Gesuiti, ritornati in Sicilia, riuscirono a rientrare in possesso della loro quota. Un decreto di Giuseppe Garibaldi del 17 giugno 1860 scioglieva nuovamente la Compagnia di Gesù: tutti i beni e le proprietà della Compagnia diventavano così demanio del nuovo Stato unitario. Lo stesso nel 1866 per la quota del monastero trapanese.
Fu messa all’asta nel 1874 dall’intendenza di finanza di Trapani e acquisita per conto di otto comproprietari, con i 2/8 della tonnara alla famiglia Florio. Gli eredi di questi acquirenti ne sono ancora oggi i proprietari.
Di grande importanza economica per gli abitanti del luogo, la tonnara è stata attiva fino ai primi decenni della seconda metà del XX secolo.