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CUBA DELLE ROSE

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Di Daniele Pugliesi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40100710

La Cuba delle Rose di Alcamo è una cisterna araba che risale a circa mille anni fa e si trova a circa 300 metri dal lato nord/ovest del Castello di Calatubo.[1]

Il termine Cuba potrebbe provenire dall’arabo qubbah, da cui la parola siciliano cubba, cupola che ricopre un serbatoio per la raccolta delle acque o sorgente. È una particolare costruzione di origine araba che ha resistito al passare dei secoli, che ancora oggi raccoglie le acque di una sorgente antidistante e che rappresenta un’opera molto importante dal punto di vista archeologico e architettonico, unica nel suo genere in Sicilia; è infatti una delle rare costruzioni tuttora esistenti aventi alcune caratteristiche tipiche dei “dammusi”, a forma quadrata e con un tetto simile a una cupola, utilizzate per raccogliere le acque piovane.

Le cube, come le gebbie, la saie, li gibbiuna, li cunnutta d’acqua, i wattali e i mulini, sono la riprova di una tradizione culturale e tecnologica di immenso valore storico, che deve essere recuperata e salvaguardata dall’oblìo.[2]

L’edificio era la fonte di rifornimento d’acqua per gli abitanti che risiedevano nel distretto medievale di Calatubo: le acque di una vicina sorgente venivano convogliate per mezzo di particolari canali di scolo dalle stesse funzioni dei qanat persiani, un sistema di condutture di origine araba che, grazie a delle pendenze, faceva riaffiorare l’acqua nel serbatoio. La fontana è composta da una camera interna contenente l’acqua, comunicante con una vasca esterna (bevaio animali grossa taglia) che a sua volta, un tempo, riportava le acque in eccesso ad altri piccoli bevai (per animali di stazza minore) ormai perduti per sempre. I bevai, frutto dell’esigenza di diverse attività di allevamento, vennero costruiti in epoche successive allo spopolamento dell’abitato di Calatubo, dovuto alla fuga forzata dei contadini saraceni a causa della pulizia etnica condotta da Federico II.

Secondo antiche testimonianze e leggende, un giardino e un folto palmeto circondavano la Cuba: le palme davano l’ombra, rinfrescando durante la calda estate e rendendo possibile la coltivazione di alberi da frutto e ortaggi, introdotti nel territorio.[3]

Il giardino di tipo arabo rivela un grande simbolismo: aveva una forma rettangolare e l’area circondata da muri e divisa in quattro parti (come i quattro elementi sacri, cioè il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra); esso è attraversato da canali d’acqua, con una fontana collocata al centro.[3]

I lavori di restauro facevano parte del Piano Triennale delle Opere Pubbliche 2012/2014 e sono stati finanziati attraverso il GAL (gruppo di azione locale) “Golfo di Castellammare”, con il contributo del Comune di Alcamo (per il restauro, il consolidamento e la riqualificazione del sito), sfruttando il P.S.R. Sicilia 2007-2013 (Programma Sviluppo Rurale), riguardante la tutela e la riqualificazione del patrimonio rurale.[1]

Scopo finale del restauro è stato quello di riattivare l’utilizzo dello stesso impianto, assieme a quello di mantenere viva la memoria dell’antica comunità, salvaguardando la protezione del bene ai fini del pubblico utilizzo.[2] Dopo questi lavori la cuba è divenuta un luogo di richiamo per i turisti.

L’equipe dei tecnici era così composta: Enza Anna Parrino: coordinamento generale e progetto di restauro; Patrizia Minà: coordinamento tecnico-scientifico; Riccardo Faraci: progetto restauro e direzione lavori; Gaetano Cusumano: progetto restauro e direzione lavori, con la collaborazione esterna dell’associazione culturale “Salviamo il Castello di Calatubo” che ha curato alcuni aspetti storici e umani a dimostrazione del protagonismo e dell’importanza che l’antico complesso ha ricoperto nel tempo per il vasto feudo di Calatubo.