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DUOMO DI MARSALA

Chiesa Madre di Marsala - panoramio.jpg
Di trolvag, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56677976

Il duomo di San Tommaso di Canterbury è la chiesa madre di Marsala. L’edificio di culto si affaccia col prospetto su piazza della Repubblica e l’adiacente via Giuseppe Garibaldi. È la più grande delle chiese di Marsala, appartenente alla diocesi di Mazara del Vallosede vescovile titolare Dioecesis Lilybaetana, sede dell’arcipretura e del vicariato foraniale della forania di Marsala sotto il patrocinio di san Thomas Becket. E anche sede della parrocchia di San Tommaso Becket.

Il culto del santo fu introdotto in Sicilia per via degli stretti rapporti con l’Inghilterra, proprio sotto i regni di Guglielmo I e Guglielmo II. Nel 1177 Giovanna Plantageneta, figlia di Enrico II d’Inghilterra, sorella di Riccardo Cuor di Leone andava in sposa a Guglielmo II di Sicilia. La sovrana sostiene il culto del martire della libertà, della cui morte è responsabile morale la figura paterna.

Sono attestati impianti di basilica cattedrale dalla prima metà del II secolo fino alla soppressione della Diocesi di Lilibeo nel IX secolo.

Al Idrisi geografo arabo al servizio di re Ruggero II di Sicilia, documenta il predominio commerciale di Mazara su Marsala, al punto che quest’ultima non è riconfermata come sede della diocesi. La primitiva basilica paleocristiana a causa delle scorrerie arabe versa in precarie condizioni, pertanto è assai probabile che questo primo edificio di culto sorga sullo stesso sito della ricostruzione normanna, come attestato dai rinvenimenti.

Secondo la tradizione, il duomo normanno fu eretto intorno al 1176, epoca in cui reggeva la diocesi della Val di Mazara il marsalese Tutino. Per compensare i propri cittadini della perdita della sede vescovile, elevò la Chiesa di Marsala alla dignità di arcipretura. L’edificio sorgeva affacciato su piazza Maggio, ove oggi è la porta laterale, si sviluppava in senso ortogonale alla chiesa attuale per 25 metri, occupando più della metà dell’attuale via Garibaldi, verosimilmente con pianta basilicale, absidi, cappelle laterali, preceduto da un portico con colonne e da un campanile.

La consacrazione del tempio normanno va collocata tra il 1173, anno della canonizzazione del santo, e il 1189, fine del regno di Guglielmo II di Sicilia e Giovanna d’Inghilterra.

A partire dal regno di Alfonso il Magnanimo, anche Marsala è soggetta al diffondersi nell’isola, del linguaggio artistico rinascimentale, nel campo delle arti figurative vive di riflesso la cultura delle correnti toscano – carraresi e lombardo – ticinesi, ovvero del contributo di marmorari settentrionali, attivi a Palermo sin dalla metà del XV secolo. Nonostante le difficili condizioni economiche, il duomo normanno, nel periodo a cavallo tra il 1497 e il 1590 è ampliato ben tre volte.

  • 1497Primo ampliamento. Caratterizzato dalla costruzione di un cappellone e due cappelle laterali, di cui una dedicata al culto del Santissimo Sacramento e concessa in patronato ai Ministrali, la confraternita laica costituita da fabbri, sarti, calzolai e falegnami. Grazie alla munificenza di privati cittadini, appartenenti ai ranghi militari e civili, come il cavaliere e capitano di giustizia Giulio Alazaro, i nobili Pietro di Anello e Antonio La Liotta, o di confraternite laiche delle maestranze, la chiesa madre si arricchisce di capolavori scultorei opere dei Gagini, Berrettaro, Mancino, Di Battista.
  • 1590, I lavori eseguiti sul finire del XVI secolo[1] si desumono in parte dalla descrizione di Gioacchino di Marzo, nello specifico con riferimento ai lavori di rimodulazione della Cappella del Santissimo Sacramento. Per conferire l’attuale connotazione barocca del basamento dell’altare con l’inserimento del paliotto argenteo, furono scalzate quattro figure nella parte inferiore del manufatto per essere in seguito inserite nelle pareti laterali interne fra ornamenti in stucco. Quest’opera di parziale smantellamento, riassemblaggio e decorazione plastica in stucco è attribuita ad Orazio Ferrero da Giuliana, il quale appesantì l’architettura dell’ambiente con la figura di Dio Padre nella volta.

In epoca borbonica, nella prima metà del XVIII secolo, è documentato l’intervento dell’architetto Giovanni Biagio Amico per il rifacimento delle coperture.[2]