Il santuario di San Calogero è uno dei luoghi di culto cattolici più importanti e antichi di Agrigento.
La chiesa di San Calogero risale a un’epoca compresa tra il XIII e il XIV secolo[1], periodo in cui la città di Agrigento era governata dalla famiglia Chiaramonte[2]. L’edificio, di piccole dimensioni, è stato edificato fuori le mura dell’antica città medievale, in una zona che veniva considerata abbastanza remota poiché, in quel periodo, era presente un grande fossato, detto “la Nave”, che rendeva impervio il raggiungimento della località. Il fossato è colmato solo nel XIX secolo[3].
La tradizione vuole che nella medesima zona dove sorge la chiesa abbia soggiornato, nel V secolo, il veneratissimo Santo.
Nel registro della visita pastorale del vescovo Pietro Tagliavia d’Aragona del XVI secolo si hanno le prime notizie storiche relative all’edificio sacro.[4]
Nel 1573, durante il periodo della reggenza vescovile di Giovanni Battista De Hogeda, fu costituita una confraternita di ottantasei cittadini, nove dei quali erano ecclesiastici. Fra i confrati di San Calogero, vi era l’intenzione di ampliare e di riedificare la chiesa affinché potesse diventare un oratorio per i devoti stessi. Il 3 febbraio del 1573, il vicario generale Giacomo di Sanfilippo rilasciò la concessione per procedere ai lavori.
Nel 1598 papa Clemente VIII approvò le celebrazioni della festa di san Calogero in tutta la Sicilia[5]. Tale riconoscimento diede grande impulso al culto del santo (e anche al santuario stesso), che assunse, nel tempo, grande rilevanza religiosa e culturale.
Nel 1863, in seguito all’applicazione delle leggi eversive, la chiesa di San Calogero venne assegnata ai frati francescani in cambio del convento di San Vito, trasformato in carcere dalle autorità civili.[4]
Verso la fine dell’Ottocento iniziò un processo di allargamento della città con la costruzione di edifici all’infuori delle mura, dando al complesso calogerino una maggiore centralità.[4]
Nei primi decenni del Novecento, la chiesa cadde in un completo stato di abbandono e solo nel 1938 iniziarono i lavori di restauro, voluti dal rettore Beniamino Lauricella.
Nel 1977 la Chiesa venne elevata a santuario[2] con un decreto del Vescovo Giuseppe Petralia.
L’interno dell’edificio misura 21,20 metri per 9.[1] Esso è diviso in tre navate da una doppia fila di sei colonne corinzie che, un tempo, erano ornate da festoni in stucco, scrostati probabilmente nei restauri degli anni quaranta. Le composizioni a tralci floreali riportavano idealmente all’albero e al suo significato simbolico, tipico della tradizione cristiana. La colonna, come l’albero, è collegamento fra la terra e il cielo, rappresentando così l’unione tra Dio e l’uomo.
Nel complesso la chiesa appare piuttosto sobria e la parte centrale è costituita dall’abside dalla conformazione rettangolare, con tre cappelle incavate quasi nello stesso piano, che conferiscono, nell’insieme, l’idea di una iconostasi bizantina.