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MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE JATTA

Di Forzaruvo94 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22906522

Il Museo archeologico nazionale Jatta di Ruvo di Puglia fu costituito in alcune stanze del Palazzo Jatta e rappresenta l’unico esemplare in Italia di collezione privata ottocentesca rimasta tuttora inalterata dalla concezione museografica originaria[2][3]. I reperti conservati nel museo furono raccolti dall’archeologo Giovanni Jatta nei primi anni dell’Ottocento, successivamente venne arricchita dall’omonimo nipote e venne ceduta allo Stato nel Novecento[3].

L’anno 1822 portò Ruvo di Puglia sulla bocca di tutti i cittadini del Regno delle Due Sicilie. Come ricorda Giovanni Jatta junior:

«Non più in città si veniva per provvedersi di viveri; perocché i venditori di pane, vino e camangiari, albergati sotto piccole tende, fornivano il necessario nella campagna medesima[4]

La scoperta fortuita nel 1820 del patrimonio vascolare presente nel sottosuolo scatenò una vera e propria caccia al tesoro e tutta Ruvo fu messa a soqquadro non tanto con l’interesse di costituire un museo o di ricavare informazioni storicamente utili, ma con l’intento di vendere i pezzi pregiati al fine di un personale tornaconto[5]. Due anni dopo si verificò il boom degli scavi e anche i primi intellettuali cominciarono ad interessarsi ai reperti. Oltre ai saccheggi dell’antica necropoli e al mercato sorto attorno alle anticaglie, alcune famiglie nobili ruvesi, quali Caputi, Fenicia, Jatta, Lojodice e altri, istituirono dei musei privati[4]. Tuttavia tutte queste famiglie, ad eccezione degli Jatta, hanno poi disperso il loro patrimonio archeologico vendendolo ai privati e spesso all’estero, determinando così una dispersione delle ricchezze storiche rubastine[4]. L’eccezione fu rappresentata dagli Jatta, soprattutto da Giovanni Jatta senior, magistrato presso il foro di Napoli, il quale finanziò vari scavi privati con l’intento di allargare la sua piccola collezione, per lo più composta da monete[6]. Aiutato dal fratello Giulio, nel 1844, anno di morte di Giovanni Jatta la raccolta contava circa cinquecento reperti[6]. L’erede di questo ingente patrimonio fu il nipote Giovannino, figlio di Giulio Jatta e Giulia Viesti, tuttavia nel testamento il giureconsulto aveva ordinato all’erede di cedere le ricchezze al Re dell’epoca in modo da conservarle nel Museo Archeologico di Napoli[6]. Ma a Giovannino, essendo ancora troppo piccolo, subentrò sua madre Giulia che, morto anche il marito, decise di chiedere al Governo Reale di lasciare la collezione Jatta a Ruvo in modo da essere esposta in un edificio adibito ad abitazione e museo[7]. Nel 1848 il re acconsentì alle richieste della signora Viesti. Con la maggiore età di Giovanni Jatta junior, la collezione era già passata ai duemila esemplari e toccò proprio a lui sistemare tutti i reperti nelle quattro stanze predisposte per il museo e in una quinta dedicata a monili e monete: la disposizione stanza per stanza dei reperti è giunta intatta fino a noi[7]. Nei secoli successivi si aggiunsero alcuni pezzi scoperti e rinvenuti da Antonio Jatta[7]. Nel 1991, la collezione privata Jatta fu acquistata dallo Stato con un indennizzo alla famiglia di 9 miliardi di lire dovuto alle spese sostenute dalla famiglia negli anni per la cura del patrimonio[8].

Il museo è tutt’oggi disposto secondo il volere dei fondatori ed è diviso in quattro sale ma fino ai primi del Novecento le sale erano ben cinque. La quinta sala conteneva un ricco medagliere, rubato nel 1915 e non più ritrovato[7].

I reperti inoltre sono disposti in ordine di importanza infatti la prima sala ospita delle terrecotte mentre l’ultima ospita il pezzo più importante e famoso, il vaso di Talos[9]. Nel 1993 con decreto ministeriale il Museo Jatta è stato dichiarato nazionale, mentre l’11 giugno dello stesso anno il Museo è stato riaperto al pubblico[8]. Alle sale si accede tramite l’antico portone di legno presente nell’atrio[3].