La grotta si trova vicino alla parte più elevata del piccolo rilievo montuoso, su una terrazza rettangolare che costeggia il teatro greco e si apre al centro della parete rocciosa dove un tempo si trovava un porticato chiuso a forma di lettera “L”. Al suo ingresso erano poste delle statue dedicate alle Muse, tre delle quali (datate II secolo a.C.[1]) sono pervenute ai nostri giorni ed esposte al Museo archeologico regionale Paolo Orsi. La fontana si ispira al culto greco delle ninfe, divinità della natura. Da esse deriva il nome di Ninfeo, ovvero di fontana monumentale adornata di elementi decorativi.
Il Ninfeo siracusano si pensa fosse l’antica sede del Mouseion (il santuario delle muse), sede della Corporazione degli artisti, dove gli attori siracusani si riunivano prima di scendere nel teatro per recitare le loro commedie o tragedie al tempo di Epicarmo e di Eschilo.
Riguardo alla grotta del Ninfeo, scriveva, nell’Ottocento il siracusano Giuseppe Politi:
«Quivi presso fornito d’ogni lato di riquadrate nicchie di varie dimensioni per tavole votive ed epitaffi, ed ancor di più celle a catacomba, passaggio sul viro del sasso vi ha, che noi chiamiamo la Strada sepolcrare, ed una gran grotta portata a volta, con vestigo all’esterno di triglifi, e con due acquedotti in fondo l’uno a traverso dell’altro verticalmente interessati d’artificiale spiraglio. Questa grotta perennemente irrigata da uno di essi; onde appellata la Grotta dell’acqua, poteva già essere per l’uso degli Efebi vincitori dell’Accademia di Musica al pari di quella che, secondo Patisania, era già sul Teatro di Atene; e forse con più probabilità un Ninfeo, cioè quivi una grotta adorna di più statue di Ninfe, con giuochi d’acqua, come vuolsi che più significhi questo nome.» |
(Giuseppe Politi, Siracusa pei viaggiatori […][2] 1835) |
La grotta presenta un soffitto a volta e al suo interno vi è una vasca di forma rettangolare nella quale si raccoglie l’acqua che scorre a cascata da una cavità posta nel fondo della parere rocciosa. Accanto alla parete d’ingresso si notano delle edicole votive che servivano per la pratica del culto degli eroi (Pìnakes)[3]. Ad est della Grotta del Ninfeo è visibile l’ultimo mulino ad acqua di epoca spagnola giunto fino ai nostri giorni. Esso riceveva l’acqua dalla grotta e la riversava verso il teatro dopo averla utilizzata per la macinazione del grano. Dal Ninfeo si giunge alla via dei Sepolcri e da lì alla cima del colle dove sorgono altri monumenti greco-romani.
L’acqua che giunge all’interno della grotta proviene da due diversi acquedotti; uno è detto “acquedotto del Ninfeo”, di epoca greca, e prende il nome dalla grotta del terrazzo Temenite[4] mentre l’altro è l’acquedotto Galermi[4], anch’esso di epoca greca.
«Sì sono un po’ ingannati tutti gli antiquari nel credere sino al giorno d’oggi, che la grotta cavata ad arco nella viva pietra sopra il teatro molto l’arca, ed alta, sia stata lavorata dai siracusani per condurre l’acqua nello stesso. È vero, che nei teatri vi eran le acque per uso della gente, ma a tal uopo non bisognava cavare una sì grande, e maestosa grotta, quando che è a ciò bastava un piccolo buco per condurla, dove si voleva. L’acqua, che scorre dalla grotta, si chiama Galermi, voce saraceni a, che significa buco d’acqua. Il cavo, che si vede, il quale corrisponde a un acquedotto, fu fatto posteriormente dall’Università, per condurre nel secolo XV l’acque in città; infatti si osserva dal presente capo nel muro, che corrisponde in detto acquedotto, e i canali, che sono piantati in giro per tutta l’anatomia del paradiso sull’alto, e poi voltano verso la chiesa di San Niccolò, a quale effetto e si erogan delle grosse somme.» |
(Giuseppe Maria Capodieci, Antichi monumenti di Siracusa (1813)) |