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CHIESA DELLA MARTORANA

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Di Bjs – Opera propriaCamera Canon EOS 300V with Canon Zoom Lens EF 28-90mmScan from the film negative, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=542012

La chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò “dei Greci” (klisha e Shën Kollit së Arbëreshëvet in albanese) e nota come Martorana, è ubicata nel centro storico di Palermo. Adiacente alla chiesa di San Cataldo, si affaccia sulla piazza Bellini ove affianca il Teatro omonimo e fronteggia la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria ed il prospetto posteriore del Palazzo Pretorio[1][2].

La chiesa appartiene all’eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa italo-albanese, e officia la liturgia per gli italo-albanesi residenti in città secondo il rito bizantino[3][4][5]. La comunità è parte della Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l’accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.

Edificio bizantino e normanno del Medioevo con torre di facciata, si contraddistingue per la molteplicità di stili che s’incontrano, in quanto, con il susseguirsi dei secoli, fu arricchita da vari altri gusti artisticiarchitettonici e culturali. Oggi si presenta difatti come chiesamonumento storico, frutto delle molteplici trasformazioni e sottoposta inoltre a tutela nazionale[6].

Dal 3 luglio 2015 fa parte del patrimonio dell’umanità (Unesco) nell’ambito dell'”Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale“.

Come dimostrato da un diploma greco-arabo del 1143, da un’iscrizione greca all’esterno della facciata meridionale e dalla stessa raffigurazione musiva di dedicazione, la chiesa fu fondata nel 1143 per volere di Giorgio d’Antiochia[7], grande ammiraglio siriaco di fede ortodossa al servizio del re normanno Ruggero II dal 1108 al 1151.[8] Costruita da artisti secondo lo stile siculo-normanno , si trovava nei pressi del vicino monastero benedettino, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194, motivo per il quale diventò nota successivamente come “Santa Maria dell’Ammiraglio” o della “Martorana” (precedentemente Giorgio l’Antiocheno fece edificare anche il possente “Ponte dell’Ammiraglio” sul fiume Oreto, noto anche per una battaglia dei garibaldini). All’edificio sacro, che nel corso dei secoli è stato più volte distrutto e restaurato, si accede dal campanile: una costruzione a pianta quadrata del XII secolo, aperta in basso da arcate a colonne angolari e con tre ordini di grandi bifore.

La chiesa possiede una pianta a croce greca, prolungata con il nartece e l’atrio. Un portale assiale (ancora esistente) da sull’atrio e il nartece, come nelle prime chiese cristiane. Al di là del nartece, l’edificio era sistemato e decorato come una chiesa bizantina a 4 colonne, tranne gli archi a sesto acuto e i pennacchi della cupola che erano di gusto islamico. Nel 1193 le case attorno vengono adibite a monastero per le donne e la chiesa verrà poi ad esso inglobata.[9]

Con sede vescovile vacante, il 5 febbraio 1257 l’altare maggiore fu consacrato dal vescovo di Siracusa Matteo de Magistro di Palermo.[10]. Nel 1194 c. fu fondato il monastero attiguo, patrocinato dai coniugi Goffredo e Luisa Martorana, da cui prenderà successivamente il nome.[10]. Il 7 dicembre 1433, col privilegio concesso da Alfonso V d’Aragona e confermato da Papa Eugenio IV, la chiesa dell’Ammiraglio è assegnata al monastero adiacente. Essendo l’edificio compreso nel recinto della clausura, le monache utilizzano la nuova struttura più prestigiosa, abbandonando il luogo di culto proprio del monastero, passando al rito latino.

Negli anni 16831687, per adeguarla alle esigenze del nuovo rito, l’abside centrale viene distrutta e sostituita da una nuova abside rettangolare, progettata da Paolo Amato, e il prospetto meridionale viene abbattuto. Nel 1740 Nicolò Palma progetta un nuovo prospetto, secondo il gusto barocco dell’epoca.

Nel 1846 si realizza l’abbassamento del piano della piazza e viene realizzata la scalinata. In considerazione dell’alto valore artistico della chiesa, tra il 1870 e il 1873, su direzione dell’architetto Giuseppe Patricolo, si realizzò il suo restauro. Nell’intento di riportare la chiesa allo stato originario, furono staccati i marmi settecenteschi delle pareti laterali del presbiterio (di cui era prevista la distruzione) e fu accentuato il muro di chiusura originale. La chiesa venne riportata per gran parte al suo aspetto medievale originario eccetto che per la navata e per l’abside centrale.

Della fine del XIX secolo la chiesa cadde in stato di abbandono, quindi sotto l’amministrazione civile-comunale, sino al ritorno al culto orientale nel 1937 per opera della comunità albanese di Sicilia e concessione dell’Arcidiocesi di Palermo.

La chiesa assunse ed ereditò il titolo di sede della parrocchia degli italo-albanesi residenti di San Nicolò dei Greci[11] (per “greci” erano scambiate quelle popolazioni albanesi che, dal XV secolo in Italia e Sicilia, conservavano “rito greco” o bizantino, lingua, costumi, identità) nel 1945, dopo che l’omonima chiesa attigua al Seminario Italo-Albanese in Palermo fu distrutto nel secondo conflitto mondiale.

La chiesa è stata recentemente restaurata e riaperta al culto comunità nel 2013[12]; in quel frangente il clero e la comunità fu momentaneamente accolta nella chiesa del SS.mo Salvatore delle suore basiliane italo-albanesi in Palermo[13].

La parrocchia di San Nicolò dei Greci non possiede un vero e proprio territorio parrocchiale, ma è il punto di riferimento di 15.000 fedeli arbëreshë[14] (la comunità albanese di Sicilia storicamente insediata nella provincia del capoluogo) residenti nella città di Palermo e che professa il rito bizantino.

Dal 2015 rientra tra i monumenti proposti all’Unesco nell’ambito dell'”Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale” come Patrimonio dell’Umanità.