Costruzione verosimilmente edificata su una preesistente struttura, secondo tradizione adibita a moschea.[1] Edificio poi trasformato in chiesa dal Conte Ruggero ed elevato al titolo di Cappella Palatina,[1] prima con riferimento alla vetusta costruzione fortificata posta sulla rocca volta a mezzogiorno, edificio documentato nel 985 dal geografo medievale Al-Muqaddasi nella b.ṭralîah[2][3] araba.
In seguito, solo in epoca normanna è edificato in posizione più elevata il castello extra portam posto a settentrione, edificio atterrato dai Magnus Terremotus in terra Xiclis del 1542, dagli intensi sciami di scosse sismiche culminati con gli eventi distruttivi del 27 marzo e 8 giugno 1638, dal terremoto documentato dalle cronache cittadine il di marzo 1647, con le devastazioni arrecate dal terremoto del Val di Noto del 1693, infine dagli agenti endogeni di natura temporalesca del 1891, che ne decretarono la quasi totale demolizione dei ruderi a fine ottocento.
Nel 1066 il cronista di corte Goffredo Malaterra, documenta il primitivo maniero, alla stessa stregua di Filippo Cluverio e Tommaso Fazello, quest’ultimo con le sue ricognizioni e gli studi approfonditi, inquadra località e fortezza nei trattati di Geografia di Tolomeo.[
Ampliata e perfezionata nella seconda metà del XVIII secolo, alta espressione di architettura barocca in Sicilia, presenta una facciata e un impianto che ricorda la chiesa dei Santi Luca e Martina a Roma, opera di Pietro da Cortona.
L’architettura interna riflette lo stile borrominiano introdotto nell’isola, ispirato e/o frutto di contaminazione con riferimento a coevi poli monumentali della capitale, di Catania e molti altri centri minori del Val di Noto, specie in relazione ai grandi interventi di ricostruzione operati in seguito alle devastazioni determinate in gran parte della Sicilia dal terremoto del 1693.