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BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE

94014 Nicosia EN, Italy - panoramio (5).jpg
Di trolvag, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=59099586

Il Gran Conte Ruggero dopo la conquista normanna perfezionò una chiesetta ove officiare le sacre liturgie secondo il rito latino. Le fonti documentali divergono circa l’origine del luogo di culto, probabilmente trattasi di piccola e primitiva cappella tardo bizantina verosimilmente adibita a moschea in epoca araba. Denominata chiesa di Santa Maria della Scala per via della modalità d’accesso attraverso rampe di scale, l’ingrandimento dei corpi di fabbrica su tutti gli altri edifici di culto cittadini sotto lo stesso titolo, comportò la denominazione di chiesa di Santa Maria Maggiore.[1]

Nel 1147c. dopo le vicende della diocesi di Messina, il temporaneo accorpamento nella diocesi di Troina che assembra parte delle diocesi del versante tirrenico e la soppressa Dioecesis Tauromenitana sul versante ionico, l’arcivescovo di Messina Arnaldo, regnante Ruggero II di Sicilia, dona la vetustissima chiesa di Santa Maria in Vaccarra ai Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme o Ospitalieri Gerosolimitani.[2]

Il tempio di rito latino è considerato matrice della porzione di territorio abitata dai mariani, in contrapposizione al tempio di rito greco di San Nicolò il Petit o San Nicolò il Piccolo o del Castello, poi derivato in San Nicolò al Piano, principale luogo di culto sostenuto dalla fazione dei nicoleti.

Nonostante le travagliate vicende, le strutture furono ulteriormente ampliate sotto i regnanti Svevi, l’edificio è documentato sul piano detto dell’Orologio, in cui oggi rimane la Torre dell’Orologio, vecchia torre campanaria della chiesa.

La chiesa è consacrata il 7 aprile 1267 dal cardinale Rodolfo (Raoul de Grosparmy), vescovo d’Albano, delegato pontificio in Sicilia sotto il papato di Clemente IV.[4]

Ingrandita durante i contrasti con i nicoleti, fu portata a termine nel 1454.

Elevata a collegiata con collegio o capitolo di chierici canonici muniti d’insegne di rocchettomozzetta violacea e negra, cappa magna ed armellino nel 1625, sotto il pontificato di Papa Urbano VIII, la costruzione vantava ben sedici colonne nella ripartizione dell’aula e due vasti portici: uno rivolto a settentrione, l’altro a ponente.[5]

Nel 1757 due distinti smottamenti causati dal terreno instabile per la particolare conformazione della porzione di costone roccioso e dalle consistenti piogge, determinarono due consecutivi eventi franosi. Un primo disastro interessò la contrada di San Luca Casale. Un secondo avvallamento inghiottì la normanna struttura di Santa Maria Maggiore e le chiese sotto il titolo di San Giacomo, San Martino, San Giuliano, San Rocco, Santa Margherita e numerosi edifici privati.[6] Con il verificarsi della frana la collegiata di Santa Maria Maggiore, in attesa della ricostruzione dell’edificio, fu temporaneamente accorpata alla collegiata di San Nicolò.[7]

Dopo 10 anni su sollecitazione di Ferdinando III di Borbone fu costruita la chiesa nelle forme attuali, nelle vicinanze del castello. Il progetto fu affidato all’architetto catanese Giuseppe Serafino.[4] A riedificazione ultimata il tempio ospitò le opere scampate della primitiva chiesa e quelle provenienti dagli edifici religiosi e civili distrutti dalla frana: fra queste il polittico marmoreo del presbiterio, la Madonna con Bambino dell’altare nel transetto sinistro e il portale.

L’accresciuta popolazione indusse il sovrano Ferdinando I delle Due Sicilie a concordare con Papa Pio VII la definizione di una nuova entità diocesana.[8] La città di Nicosia la spuntò sulla riproposizione della candidatura di Troina, a garantire la correttezza della valutazione fu determinante la supervisione di Raffaele Mormile, arcivescovo di Palermo.[9] Contestualmente la città si divise sulla designazione della sede a cattedra: le due opposte e secolari fazioni avanzarono la candidatura delle chiese dei rispettivi quartieri.[3] A derimere la questione furono chiamati due grandi architetti Domenico Marabitti e Michele Billone, in seguito anche Alessandro Emanuele Marvuglia,[10] titolati accademici già invitati ad esprimere pareri tecnici e giudizi artistici sulla ristrutturazione della cattedrale di Palermo.

Le diatribe, le rivendicazioni, i primati fra le opposte fazioni, non cessarono neanche con la pubblicazione di una seconda bolla pontificia che decretava l’elevazione al rango di basilica minore mantenendo il titolo di matrice.[11] Fino al 1825 seguirono una serie di obblighi, restrizioni di diritti e decadimenti di privilegi.[12] Solo con la bolla di conciliazione del 4 agosto 1847 si giunse ad una tregua, pacificazione sancita da approvazione regia il 25 settembre 1849 che pose fine alle rivalità.

Completata nel 1904, anno in cui fu anche consacrata dal vescovo Ferdinando Fiandaca, come illustra l’affresco di Ettore Ximenes riprodotto nella calotta dell’abside.