La chiesa della Madonna della Solitudine, in sardo: sa Solidae, è una piccola costruzione assai cara ai nuoresi che, sensibili alla devozione per la Vergine e all’ambiente incontaminato, vi si radunavano per la sagra, con festeggiamenti civili contraddistinti da balli, canti locali ed abbondanti cibarie: è accessibile dalla strada (via Ciusa) che poi sale, sinuosa, al monte Ortobene, circondata dalla vegetazione.[1]
La chiesa fu costruita nel Seicento come tanti altri luoghi campestri di culto in Sardegna: numerosi pastori e contadini, non residenti in città, avevano bisogno della vicinanza di un edificio religioso seppure minuto, per assistere alle funzioni e poter socializzare.[2]
Le pareti, a calce, sono definite da archetti ogivali in cui si snoda la Via Crucis. La facciata marmorea, alta, sobria e lineare, è coronata da un caratteristico campaniletto a vela.
L’interno, semplice ed a una sola navata, evidenzia una volta a travature lignee scoperte ed un’abside a semicerchio.
Il portone di bronzo, raffigurante la Madonna della Solitudine, fu scolpito dall’artista sassarese Eugenio Tavolara.[3]
La chiesa ha un significato particolare perché custodisce, subito sulla parete destra, il sarcofago in granito nero levigato contenente le spoglie della scrittrice nuorese e Premio Nobel per la letteratura nel 1926 (solo il Carducci lo ebbe prima e lei rimane tuttora l’unica donna italiana ad aver meritato l’ambito riconoscimento in quel campo artistico), Grazia Deledda.[4]
La Deledda residente a Roma e sposa del funzionario ministeriale Palmiro Madesani, da cui avrà Franz e Sardus, morì nella capitale e fu sepolta nel Cimitero del Verano. Aveva scritto qualche mese prima, nel 1936, il suo ultimo romanzo La chiesa della Solitudine, pubblicato a Milano da Treves e la cui protagonista soffriva come lei di un male incurabile.[5]Sepolcro di Grazia Deledda
A Nuoro, intanto, fu bandito un concorso voluto dal Comitato appositamente costituito per riportare in terra sarda il corpo della famosa scrittrice: vinse l’artista nuorese Giovanni Ciusa Romagna che, tra il 1947 e il 1958, elaborò il progetto per la nuova chiesa, realizzata demolendo l’edificio seicentesco.[6]
Al suo interno sono custodite la campana originale datata 1622 e la statua della Vergine Addolorata.