Sos Urthos e Buttudos sono due maschere che descrivono e rappresentano la tradizione carnevalesca e folkloristica di Fonni (comune sardo della provincia di Nuoro) e sono anche tra le più famose e ricercate durante il Carrasegare in Barbagia.
Come da tradizione, anche in questo caso abbiamo due soggetti protagonisti del carnevale: da un lato S’Urthu , l’Orcus Latino, dall’altro Su Buttudu , suo padrone e domatore.
Esistono testimonianze di tali maschere risalenti all’800, le quali affermano l’esistenza di ulteriori maschere come la figura de Su Ceomo e de Sas Mascheras Limpias.[1]
Grazie all’ associazione culturale Urthos e Buttùdos, nata nel 1994, queste tradizioni antiche sono state riscoperte e valorizzate attraverso studi e ricerche. Le maschere fanno la loro comparizione per la festa di Sant’Antonio, nel mese di gennaio, periodo nel quale inizia il carnevale sardo.
S’Urthu raffigura, in base all’ipotesi più accreditata, il dio dei morti e delle tenebre: L’Orso latino.[2] Dolores Turchi infatti avvalora la sua tesi asserendo che Orco (traduzione letterale di Urtzu o Urthu) è un nome caratteristico in Sardegna, comunemente dato a molti siti archeologici pre-nuragici e nuragici: uno su tutti la tomba dei giganti Sa Domu’e s’Orcu di Siddi, ossia La casa dell’Orco in italiano.
Sos Urthos fanno parte di un rito ancestrale incentrato sul sacrificio alla divinità in cambio di fertilità e benessere.[3]
Orcus è il nome che i Romani diedero a Plutone, Ade per i Greci. Si tratta della divinità infera che viene assimilata a Dioniso. Lo stesso Eraclito precisò che: «… la medesima cosa sono Ade e Dioniso, per cui impazzano e si sfrenano».
Sulla figura dell’Orcus nel carnevale barbaricino, si ha una testimonianza anche in La porta chusa, novella contenuta in Chiaroscuro, opera di Grazia Deledda:
«….La gente raccolta in piazza attorno alle maschere simili ai bovi ed a orsi che ballavano una danza selvaggia accompagnata da gridi malinconici.[4][5]» |
(Grazia Deledda, Chiaroscuro, 1912) |
La maschera è caratterizzata da un costume fatto in pelli di montone solitamente bianche e ha gli arti e il visto ricoperti di fuligine. Questa maschera è inscenata solitamente da una persona possente, agile e forzuta capace di trascinare i buttodos ovunque voglia, che cerca di divincolarsi arrampicandosi a pali, balconi e terrazze.[6]
Sos Buttodos, il cui nome deriva dal termine sardo bottùdo (ossia montone non castrato), vengono chiamate anche mascheras bruttas o maschere sporche in contrapposizione a sas mascheras limpias. Il loro vestito è caratterizzato da un cappotto in orbace, su cappotto, sopra di quest’ultimo una fascia di campanacci, pantaloni in velluto, gambali e scarpe di colore nero. Vengono definiti come i guardiani dell’orso in quanto cercano di tenenerlo al guinzaglio con catene e fruste (detta in sardo su nerviu).[7]