Il mausoleo di Cecilia Metella e il Castrum Caetani costituiscono un continuum archeologico, che sorge a Roma, poco prima del III miglio della Via Appia Antica, subito dopo il complesso costituito dal circo, dalla villa, e dal sepolcro del figlio dell’imperatore Massenzio, Valerio Romolo.
La collocazione del mausoleo di Cecilia Metella veniva così descritta, nel 1855:
«Fuori dell’attuale porta di san Sebastiano, distante quasi un miglio dall’antica Capena, ai lati della via Appia sono orti e vigne. Quindi percorse quasi due miglia incominciano deserti latifondi dell’agro romano, e sono i seguenti: Capo di Bove, Statuario, volgarmente Roma Vecchia; Statuario, o sia Santa Maria Nuova; Casal Rotondo; Barbuta, Selcia, Fiorano, Palombara. La prima tenuta esistente sulla via Appia ai confini delle vigne è Capo di Bove. Così fu denominata dai bucrani detti volgarmente Capi di Bove, che servono di ornamento al sepolcro di Cecilia Metella ivi esistente. Veggonsi similmente nella medesima gli avanzi di un circo denominato un tempo volgarmente di Caracalla, ed ora di Romulo figlio di Massenzio.» |
(Antonio Coppi, Memorie relative ad alcune tenute dell’Agro romano adiacenti alla via Appia, in “Dissertazioni della Pontificia Accademia di Archeologia”, tomo XIII, Roma 1855, pp. 141-150) |
Di Cecilia Metella non si hanno notizie personali, salvo che era figlia di Quinto Cecilio Metello Cretico, e moglie di un Crasso che si presume essere il figlio di una Venulei e di quel Marco Licinio Crasso (forse il questore di Cesare Marco) che nel 71 a.C. aveva soffocato la rivolta degli schiavi capeggiata da Spartaco e nel 60 a.C. aveva costituito il primo triumvirato con Cesare e Pompeo.
La costruzione del mausoleo, come mostrano le scene di guerra che accompagnano l’epigrafe, era finalizzata a celebrare l’importanza della famiglia assai più che della dedicataria, e viene datata alla seconda metà del I secolo a.C.
Il monumento originario era costituito dall’edificio circolare che ancora si erge, installato su un fondamento quadrangolare di opera cementizia. Il tamburo che conteneva la camera funeraria, del diametro di circa 30 metri e alto 39 metri con la merlatura, era interamente rivestito di blocchi di travertino, terminava presumibilmente in una piccola cupola – non più esistente ma ancora testimoniata da un anello di blocchi di travertino, e dall’indicazione monumentum peczutum – cioè monumento “appuntito” – con cui veniva descritto nell’XI secolo[2]. In alto, al di sopra della tabula col titulus, correva un fregio di festoni floreali alternati a bucrani, dai quali nacque il toponimo di Capo di bove, che identificò la località a partire dal Medioevo. La stessa merlatura, poi rifatta più alta nel medioevo, era già presente nella struttura in travertino e ricordava gli antichi tumuli col perimetro segnato dai cippi. Alla camera sepolcrale – oggi di nuovo visitabile – si accede da un dromos nel basamento stesso; essa occupa l’intera altezza dell’edificio.
L’arredo è andato completamente disperso, come era inevitabile per un luogo così a lungo frequentato: di un sarcofago trasferito a Palazzo Farnese si disse che era quello di Cecilia Metella, ma il Nibby lo attribuiva più plausibilmente ad Annia Regilla, moglie di Erode Attico, il quale nel secolo successivo aveva acquisito vasti possedimenti in quella zona.
Non è univoca la scelta della fonte di ispirazione per un monumento funebre circolare come il mausoleo di Cecilia Metella: secondo alcuni studiosi i mausolei ellenistici, secondo altri le tholos etrusche. In ogni caso è interessante appurare il clima di restaurazione antiquaria che esisteva nella Roma del tardo I secolo a.C., tanto che si contano diversi esempi di architetture simili oltre i confini di Roma (a Sepino, Falerii, Gubbio, Pompei, Sarsina,ecc.) per tutta l’epoca giulio-claudia. In seguito il tamburo acquistò forme architettoniche sempre più complesse, fino alla sintesi coi mausolei a naiskos (tempietto) e a guglia, come nel mausoleo di Augusto (28 a.C.), quelli di Munazio Planco e Sempronio Atratino a Gaeta, quelli dei Plauzi Silvani, dei Servilii, dei Lucilii, ecc.