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MONASTERO DI SAN NICOLO’ L’ARENA

Di Nicolò Arena – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53117834

Il Monastero di San Nicolò l’Arena (o “la Rena“; dove per rena si intende la rena rossa, termine dialettale che indica la sabbia vulcanica presente nel territorio) è un complesso ecclesiastico del centro storico di Catania, situato in piazza Dante, costituito da un importante edificio monastico benedettino e da una monumentale chiesa settecentesca.

Fu fondato da monaci provenienti dall’omonimo monastero situato nei pressi di Nicolosi che a metà del XVI secolo chiesero al senato cittadino l’autorizzazione a edificare entro le mura, poiché minacciati dalle eruzioni dell’Etna e dalla presenza di briganti.

Data la superficie occupata, circa 210 x 130 m., è ritenuto per estensione il secondo monastero benedettino più grande d’Europa (secondo solo al Monastero di Mafra in Portogallo).

Il monastero fu dichiarato monumento nazionale con regio decreto del 15 agosto 1869. Nel 2002 viene inserito nell’elenco del patrimonio mondiale dell’UNESCO come “gioiello del tardo-barocco siciliano” facente parte all’itinerario del “tardo-barocco siciliano del Val di Noto” e nel 2008 la Regione Siciliana dichiara di “importante interesse artistico” il progetto guida riguardante la ristrutturazione del complesso dei Benedettini a Catania firmato da Giancarlo De Carlo.

Oggi è sede del DISUM – Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania.

Intorno alla seconda metà del XII secolo, sulle pendici dell’Etna, venne eretta una cappella e un ricovero per i monaci infermi dei vicini monasteri di Santa Maria di Licodia e San Leone del colle Pannacchio, nei pressi di Paternò. In seguito per volere di Federico III di Sicilia, vi si costruì il monastero, che venne costituito sede principale dei cenobi, prendendo la denominazione di “San Nicolò la Rena” per la devozione dei monaci a San Nicola di Bari e per la caratteristica terra sabbiosa – la rena rossa, da rena o arena che in latino indica “sabbia” – che ricopriva la zona. Attorno al monastero prese ben presto forma il paese di Nicolosi.

Il cenobio negli anni si espanse superando in importanza quello di Licodia (a testimonianza di ciò basti ricordare le numerose visite delle regine Eleonora d’Angiò e Bianca di Navarra e il favore sempre avuto dai regnanti a partire da Federico III) e accumulò notevoli ricchezze.

Nel 1483, i monasteri benedettini di San Placido CaloneròSan Nicolò l’ArenaSanta Maria NuovaSanta Maria di Licodia si costituirono in congregazione, la quale fu chiamata «Congregazione dei Monaci di San Benedetto in Sicilia». Essa fu approvata da Papa Sisto IV e furono concessi privilegi simili a quelli goduti dalla «Congregazione di Santa Giustina».

Nel 1504, con l’annessione dell’abbazia di Montecassino, la Congregazione benedettina di Santa Giustina mutò nome, chiamandosi appunto, Congregazione cassinese. Nel 1506 all’interno di quest’ultima confluì la Congregazione sicula.

Ma le scorribande di briganti che imperversavano nella zona (i cosiddetti bravi), favorite dal relativo isolamento di questo come del cenobio di San Leone, unite al clima rigido dell’Etna, spinsero i monaci a richiedere insistentemente il trasferimento a Catania, città munita e dunque più sicura e in più molto ben disposta ad accogliere una congregazione così ricca e importante, detentrice della reliquia del Santo Chiodo, molto venerata dai catanesi, che avrebbe aumentato notevolmente la ricchezza e il prestigio della città. L’eruzione del 15361537, che distrusse il monastero di San Leone, accelerò i tempi: i due cenobi superstiti, quello di Nicolosi e quello di Santa Maria di Licodia, con i monaci di San Leone che vi si erano rifugiati, ottennero il permesso di trasferirsi dentro le mura della vicina città demaniale.